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2 Settembre 2014

TRASCINANTE COME IL CALIFFATO. ARTURO PARISI VEDE NELLA POLITICA DI RENZI UNA SCOMMESSA DI NUOVO TIPO CONTRO IL TEMPO.
Intervista a Goffredo Pistelli, ItaliaOggi p.5

Fra il carretto del gelataio convocato nel cortile di Palazzo Chigi, per rispondere alla sfiducia di Economist, e il successo di Bruxelles, con la nomina di Federica Mogherini ad alto commissario per la politica estera della Comissione, Matteo Renzi è sempre centro della polemica degli osservatori e degli editorialisti.

L’ultima, in ordine di tempo, è Lucia Annunziata che, sull’Huffington, gli ha dato del «ragazzino». Per un ideale bilancio sul Renzi di governo, o sul renzismo al governo per meglio dire, ci siamo rivolti ad Arturo Parisi, il quale, benché sia del 1940, non disdegnò il palco della Leopolda nel 2011, quando la stazione lorenese non era affatto di moda, soprattutto nel Pd. Allo stesso modo, l’indipendenza intellettuale dell’ex-ministro della Difesa, da tutti riconosciuta, ne fa l’interlocutore giusto.

Domanda. Renzi non sembra curarsi troppo delle previsioni fosche sull’autunno economico. Né si lascia intimorire dai commentatori che gli indicano persino di quanti miliardi deve essere la manovra aggiuntiva.

Risposta. E meno male! Anche se l’ottimismo e la determinazione non bastano per arrivare, sono indispensabili per partire. Nel passaggio che abbiamo difronte, un Paese che, come il nostro, è più che fermo, in regresso, ha bisogno di tutto l’ottimismo e la determinazione del quale dispone. Almeno in chi è alla guida. Questo è il motivo del consenso che ha accompagnato finora l’avventura di Renzi. Lo stesso che, nonostante i dubbi crescenti tra i commentatori, l’istituto Ixè ha registrato ancora in agosto tra i cittadini.

D. Un premier che riporta, orgogliosamente, la politica a centro del dibattito…

R. Perché questo è appunto lo specifico della politica e del politico. Anticipare il futuro. Non come semplice capacità di vedere i nuovi problemi prima degli altri e, assieme ad essi, predisporne le soluzioni, ma la capacità di rendere attuale il futuro, di raccontarlo e riproporlo continuamente come se fosse già presente. Di questo Renzi si è finora dimostrato maestro. Nel tempo dei tweet, Renzi ha fatto di questo un metodo che in tutti questi mesi abbiamo visto all’opera con sistematicità.

D. L’uso di Twitter è peraltro oggetto del biasimo o del fastidio di molti commentatori…

R. Avrei potuto dire genericamente comunicazione politica. Ma nelle mani di Renzi è il tweet che, per dirla alla McLuhan, è il «medium» che più di ogni altro strumento è il suo messaggio. La decisione, veloce, trasmessa in prima persona, alla generalità dei cittadini, raggiunti individualmente, saltando tutti gli apparati di intermediazione professionale, ha esaltato la propensione di Renzi a proporsi come referente immediato della domanda politica, e come promotore della risposta di governo.

D. Un fenomeno nuovo, lei dice…

R. Un fenomeno che ha già iniziato a richiamare l’attenzione degli studiosi che riconoscono in lui un caso esemplare del tempo che cambia. Il tweet è diventato, nelle sue mani, non solo il mezzo di propaganda per annunciare i risultati come già raggiunti, ma uno strumento di governo per raggiungerli. Quasi decreti legge, essi mettono la sua firma personale a ogni azione di governo prima che diventi atto formale, e rappresentano, per i responsabili di settore e gli apparati serventi, la palla da lui rilanciata continuamente in avanti, lasciando agli altri l’onere di raggiungerla o la responsabilità di mancarla.

D. Questo orgoglio renziano, emerso anche nella lettera ai militanti della feste dell’Unità, ma che era affiorato anche nelle prese di posizioni europee, è un dato nuovo. Un presidente che afferma di non essere interessato a pochi decimali di Pil ma rifare la scuola, non si vedeva da un po’. Che ne pensa?

R. È ancora una volta la politica come assertività vincente, che travolge vincoli che sembravano insuperabili in una sequenza ininterrotta e annuncia ogni volta nuove vittorie. Questa è stata la corsa di Renzi da quando è apparso sulla scena politica. Come per la galoppante crescita del Califfato in Iraq e in Siria, ciò che conta è che appaia che Renzi continui a vincere.

D. Cioè, professore?

R. Fino a quando questo continua, continuerà a mantenere e accrescere il suo seguito. La recente imposizione della Mogherini ai vertici della Ue, e prima ancora di Gianni Pittella alla guida del gruppo socialista di Strasburgo, dopo soli 90 giorni dal trionfo che ha fatto del Pd la prima componente del Pse, è da questo punto di vista lo svolgimento a livello europeo della galoppata nazionale.

D. Vittoria netta, soprattutto quella di Lady Pesc…

R. Oltre a essere segno che conferma il suo successo in Italia, la sua nomina è strumento che stabilizza il riaggancio del gruppo dirigente europeo da parte del nostro Paese. Esattamente come fu in occasione dell’ingresso dell’euro. Peccato che a essere riagganciato era, allora, un convoglio che appariva in salita mentre ora è un convoglio sicuramente in discesa. Detto questo…

D. Detto questo?

R. Detto questo, l’avanzata ininterrotta di Renzi si è tutta svolta dentro il perimetro dell’arena politica. Ma il primato sicuro che Renzi ha oggi nella politica non corrisponde al primato della politica nella società.

D. Di questo non si può fare certo colpa a Renzi…

R. Certo che no, perché il suo primato si afferma appunto a partire da una crisi profonda della politica che gli preesiste. Una crisi diffusa della democrazia figlia della crescente incapacità dello Stato nel guidare la società e di raccogliere allo stesso tempo nella società il consenso e le risorse per farlo. Resta comunque che se il profilo della leadership politica che tutti riconoscono a Renzi è stato finora sufficiente ad assicurargli il successo nella politica, è ben lungi dal modificare il ruolo della politica nella società e nella economia.

D. Fuori dalla politica è più dura, insomma…

R. Lo stesso tratto impaziente, veloce, leggero assertivo che gli ha assicurato il successo dentro la politica, mostra ogni giorno di più la difficoltà di adattarsi al passo lento, continuo e autorevole, richiesto dal governo dei processi sociali. Di questa necessità Renzi ha mostrato, proprio in questi giorni, consapevolezza, affidandola all’hashtag (le parole chiave di Twitter, ndr) del #passodopopasso. Tuttavia non è facile per uno scattista farsi, tutto in una volta, maratoneta, traducendo quel #passodopopasso in #unacosallavolta.

D. La polemica, del premier stavolta, di sui «soliti noti», sui poteri più o meno forti della prima e seconda repubblica, ci riconsegna un Renzi molto leopoldiano e molto rottamatore. È tattica o comunque, essendo quello il suo profilo politico, sbagliava chi pensava che quella vena si fosse seccata per sempre, una volta giunto a Palazzo Chigi?

R. Sbagliava. Se il giorno si vede dal mattino, direi che nel primo annuncio alla Leopolda della rottamazione sta il programma, il messaggio, e la cifra fondamentale di Renzi. La catena di successi politici che descrivono la sua corsa impetuosa sta appunto nelle rottamazioni e nei rottamati che, volta a volta, ha abbattuto. Assieme alla sua forza in questo sta tuttavia anche il suo limite. Perfetto per uno che deve ancora occupare le posizioni di comando, la rottamazione cambia infatti di segno quando, come capita ora a Renzi, è il solo e da solo al comando. Una cosa è quando il rottamando è un vecchio politico, un’altra quando sono categorie intere. Una cosa è far fuori un potente, un’altra abbattere un potere.

D. Durante le primarie 2012, mi pare parlando a Milano, Renzi disse chiaro che avrebbe toccato i cosiddetti diritti acquisiti. Il tema del ricalcolo delle pensioni retributive, generosamente distribuite nei decenni precedenti, è un tema ricorrente. La perequazione con le contributive potrebbe avvenire col contributo di solidarietà. Secondo lei, Renzi lo farà? Lo dovrebbe fare?

R. Di certo ci proverà. Mi sembra inevitabile e, aggiungo, giusto. Ma dovrà far bene i conti. Per recuperare le risorse mancanti ci vorrà ben altro che il solo contributo delle pensioni d’oro o di quelle d’argento…

D. Il Corriere della Sera, con un editoriale di Piero Ostellino, commentatore di cultura liberale, ha messo le mani avanti proprio sulle pensioni; dirigenti e funzionari delle Camere di Commercio che tuittano a difesa del sistema camerale come fosse la Maginot delle libertà economiche; i sindacati che fanno muro sul taglio dei distacchi. Non è, professore, che questa Italia è irriformabile?

R. No. La verità è che si fa troppo in fretta a dire riforme. Una cosa è annunciarle, un’altra vararle. Un’altra ancora realizzarle. Se il convulso inseguirsi di annunci di riforme epocali rende incerto il futuro, più che incentivare l’azione individuale rischia di scoraggiarla o almeno di rinviarla.