2222
9 Giugno 2010

DIFESA: PARISI, SU BILANCIO NESSUNA AMBIGUITA’ NE’ SENTIMENTI DIVERSI QUANDO SI E’ ALL’OPPOSIZIONE E QUANDO SI E’ AL GOVERNO

Autore: Maria Grazia Gerini
Fonte: l'Unità

Su un punto l’ex ministro della Difesa del governo Prodi, Arturo Parisi, è d’accordo con l’Unità. E con l’iniziativa annunciata dal Pd in Commissione Difesa del senato per chiedere che le spese sugli armamenti siano passate al vaglio. «In un passaggio stretto come quello che
stiamo attraversando – dice -, non solo si può ma si “deve”
verificare verificare l’utilità e l’impiego di ogni euro speso per
la difesa».
 Quindi non è un tabù discutere della spesa per gli
armamenti?
 «Ci mancherebbe». E allora cosa contesta? «Vede,
in questo settore non si possono avere ambiguità, né sentimenti diversi quando si è all’opposizione e quando si è al governo. Le spese
per i sistemi d’arma di cui parliamo sono state individuate
nell’ambito di programmi decennali, su cui noi stessi siamo
intervenuti più volte, fin dai tempi del ministro Andreatta. Certo,
tutto si deve verificare e nulla è verificato per sempre: una cosa
che ieri consideravamo adeguata oggi può essere considerata
non adeguata. Ma dobbiamo essere estremamente responsabili. E
ragionare in modo concretissimo: il taglio deve essere un mezzo per
raggiungere i risparmi e non il fine. Se invece vogliamo parlare di
disarmo è un’altra cosa».
 Quindi, il tabù è il pacifismo?
 «Niente
affatto. C’è un’istanza, anzi direi un istinto pacifista, che io riconosco tra la nostra gente. Una istanza che rispetto profondamente.
Per questo, una volta, quando ancora eravamo all’opposizione andai a
Perugia, ma non me la sentii di partecipare alla marcia perché
mi resi conto che in quel momento avrei trasmesso ai ragazzi che
marciavano con me un sospetto di doppiezza e sentivo che era
l’ultima cosa che noi ci potevamo permettere». È un dissidio antico
per la sinistra: come se ne esce?
 «Se ne esce con l’onestà. Il punto
è che non possiamo andare ad Assisi e allo stesso tempo sostenere
iniziative che prevedono bombardamenti senza sentire il dovere di
spiegare ad Assisi il senso dei bombardamenti. E viceversa il dovere
di spiegare poi 
ai nostri militari perché andiamo ad Assisi». Quindi
secondo lei non si deve andare ad Assisi? «No, ma su questi temi
abbiamo bisogno di una trasparenza morale, non solo 
tecnica: dire
solo ciò che pensiamo, essere coerenti, dare seguito alle cose che
diciamo. Non si può far finta di essere amico di uno e fare l’occhietto all’altro. Diciamo difesa e facciamo difesa. Se diciamo
disarmo dobbiamo anche dire ai nostri cittadini che in caso di
necessità o si ha il coraggio di esporci disarmati all’aggressore o
ci consegniamo nelle mani del protettore di turno. Sono scelte
delle quali dobbiamo riuscire a parlare a viso aperto. Aprire un
dibattito che approdi a scelte mature». E questo è mancato nel
partito?
 «Certo tra le dieci parole che definiscono l’identità del
Pd nessuna riguarda questo ambito che pure è centrale. Ma questa è
una questione antica di tutto il Paese. La difesa è una di quelle
cose che si fanno ma non si dicono. Mentre spiegare, dare conto,
essere coerenti è la fatica del governare».
 Torniamo al tema
centrale: come si può ridurre la spesa in armamenti, tanto più in
un momento di crisi? «Ecco è quel “tanto più” che non condivido,
perché sulla tavola della 
Repubblica la difesa non è il companatico
ma il pane, la difesa è la funzione principale che uno stato è
chiamato ad assolvere. Poi bisogna vedere se il pane è raffermo».
 Ecco,
fuor di metafora, ci possiamo chiedere se i cacciabombardieri sono indispensabili o no? Se è o no funzionale al nostro modello di difesa comprare determinate armi?
 «Certo, sul come si spende si può e si
deve discutere, l’importante è intenderci sul se. Noi quella
discussione l’abbiamo fatta. La Costituzione ci chiede di rifiutare
la guerra come mezzo di soluzione – ovvero di non avviare guerre
meno che mai guidate dall’illusione che possano risolvere i conflitti internazionali – ma ci chiede però anche di difendere il paese
da eventuali aggressioni esterne. Ma questa è una discussione che
nel Pd abbiamo già fatto. Siamo stati noi con il governo Prodi a
riportare la spesa per la difesa da 17 a 21 miliardi e a
raddoppiare in due anni gli stessi programmi per investimenti. Una
scelta collegiale che senza l’appoggio dell’allora ministro
delle Attività Produttive, Bersani sarebbe stata impossibile».