12 Dicembre 2005
Addio a Sylos Labini, maestro di opposizione civile
Autore: Giovanni Bachelet
E’ morto un giusto e un profeta. E’ morto un maestro e un amico. E’ anche per la sua spinta e il suo esempio che, a partire dal 2002, ho cercato di fare anch’io qualcosa per tirare fuori il nostro Paese dal grosso guaio in cui si è cacciato nel 2001.
Se si spende col cuore e l’energia di un ventenne Sylos, che ha più di ottant’anni, come faccio a dirgli di no io, che ne ho solo cinquanta? E’ stato duro, oggi, doverlo salutare per l’ultima volta, nella camera ardente allestita nella nostra Università La Sapienza, dove Ciampi per primo è arrivato a rendergli omaggio.
Non ci somigliavamo per età, per studi, per provenienza culturale e politica; ma Paolo Sylos Labini si proponeva di raggiungere tutti quelli che potevano condividere una buona battaglia, come un vulcano i cui torrenti di lava ardente arrivano ad infuocare vicini e lontani; e così a un certo punto raggiunse anche me. Già all’epoca dei Comitati Prodi, nel 1995, ci eravamo sentiti qualche volta.
Il 2 febbraio 2002 Sylos ci ritrovammo fra gli invitati a parlare a Piazza Navona, nella manifestazione che ebbe grande eco (quando Nanni Moretti gridò: con questi dirigenti non vinceremo mai), all’inizio alla stagione dei Girotondi; a marzo di quell’anno abbiamo scritto (insieme a Enzo Marzo e Elio Veltri) l’appello per una opposizione civile che ebbe in pochi giorni 63mila firme.
Ci congratulammo a vicenda per i rispettivi interventi, sotto il palco, con pacche sulle spalle e risate: ma possibile che ci vogliamo io e te per dire queste cose ovvie? Ma ci fanno o ci sono? Paolo Sylos era infatti un profeta col cuore che ride e gli occhi che brillano.
Da allora ho condiviso con lui diverse iniziative e ho avuto l’onore di essere da lui più volte consultato (in realtà si trattava spesso di vere e proprie precettazioni). A volte mi telefonava a casa e mi parlava a lungo. Non si risparmiava mai, anche per merito della moglie e dei figli, che non solo non ostacolavano il suo attivismo politico-culturale, ma lo sostenevano, anche quando (e negli ultimi anni e’ capitato qualche volta) non era in perfetta salute.
Era un simbolo e piaceva a giovani adulti e vecchi. Quando parlava gli applausi tiravano giù i teatri. In lui l’indignazione e l’impeto morale non suonavano falsi, per un’ottima ragione: a denunciare il male e cercare di promuovere una riscossa morale prima che politica, in 85 anni di vita, non ci ha guadagnato mai niente.
E’ vissuto del suo lavoro di professore universitario e di esperto mondiale di economia. Ma sentiva di poter e dover fare tutto quello che poteva, anche all’infuori della sua professione, per il bene del Paese, nonostante il realismo lucido e impietoso col quale analizzava non solo danni e guai dovuti al governo in carica, ma anche colpe e sbagli dei “nostri”.
Era fortissimamente anticlericale, di scuola azionista; ed aveva profonda stima e considerazione per la fede cristiana. Cercava con grande determinazione interlocutori anche nel mondo cattolico, convinto che il coinvolgimento di tutte le forze moralmente sane e sinceramente democratiche fosse l’unico antidoto ai gravi pericoli politici, economici e sociali che vedeva all’orizzonte in questi anni.
E’ morto un giusto e un profeta, un uomo di grandissima fede, una fede laica nell’uomo, nella ragione, nel bene comune possibile. E’ morto un uomo ricco di speranza nel riscatto del Paese, proprio questo nostro “Paese di…”, come a volte lo chiamava nei suoi sfoghi; e per il quale, però, nutriva un grandissimo amore, degno di quello, fedele e fortissimo, che aveva per la moglie e i figli.
A loro e a molti di noi adulti giovani e vecchi che oggi si sentono un po’ più orfani di prima resta, oltre al dolore dell’assenza, il fuoco vivo di ideali che non tramontano e il dovere di continuare a farlo brillare nei nostri occhi come brillava in quelli, indimenticabili, di Paolo Sylos Labini.