Roma – E’ sempre così. Ogni volta che Massimo D’Alema appare
sulla scena i suoi colleghi di partito e di coalizione si domandano cosa intenda
fare veramente, quale sia il suo piano segreto, il suo obiettivo. E ora che il
ministro degli Esteri sembra aver rotto il “digiuno politico” tutti si chiedono
dove voglia andare a parare.
Domanda semplicistica quando si parla di
D’Alema. Agli amici il presidente della Quercia ha confidato i suoi programmi, e
le sue subordinate, perché da «ottimo professionista della politica» (così ama
definirsi) sa che la strada non può essere una sola, ma che bisogna prepararsi a
tutte le evenienze. Su questo è stato chiaro: se la legislatura dovesse
concludersi traumaticamente, anzitempo, l’Unione avrebbe un unico candidato
possibile per sparigliare i giochi di Berlusconi. Ossia, Veltroni, che nel
centrosinistra sarebbe il solo a non soccombere all’eventuale crollo del governo
Prodi.
D’Alema non ha siglato patti con il sindaco di Roma e Veltroni
non li ha siglati con lui. Però il presidente della Quercia sa che quello che un
tempo chiamava «l’amico Walter» sarebbe l’unico in grado di salvare la baracca
dell’Unione. E con sano pragmatismo ha messo anche questo nel conto.
Ma
se si andasse avanti, allora, «ogni prospettiva sarebbe aperta», è il suo
convincimento. Anche quella che riguarda lui medesimo. King maker, lo chiamano,
sì, attribuendogli il desiderio di candidare Pierluigi Bersani o Anna
Finocchiaro, o di cercare altrove, nella Margherita, personaggi come Dario
Franceschini o Enrico Letta. Ma si può essere anche king maker di se stessi. Del
resto, è indubbio che in questo esecutivo che si affanna D’Alema è al top dei
sondaggi. E che sta conquistando sul campo quelle doti di statista che qualcuno
gli aveva contestato quando, dopo la caduta del primo governo Prodi, arrivò a
palazzo Chigi senza passare per le elezioni.
A qualche amico d’Alema ha
lasciato intendere che potrebbe tentare questo passo: candidarsi premier e
affrontare la prova delle urne.
Chi lo conosce bene, come Peppino Caldarola,
spiega: «Sta pensando di scendere in campo direttamente lui». Chi lo conosce
altrettanto bene e sa che la posizione della sinistra radicale può essere
determinante per il premier che verrà, come il segretario di Rifondazione Franco
Giordano, non esclude questa ipotesi. Chi lo conosce così così, il capogruppo
della Rosa nel Pugno a Montecitorio Roberto Villetti, profetizza: «E’ chiaro che
alle primarie per il candidato premier si presenterà D’Alema. A quel punto la
Margherita potrebbe contrapporgli solo Rutelli. Veltroni non scenderebbe in
campo e Massimo vincerebbe a mani basse…le primarie… perché le elezioni sono
un’altra cosa. Ma è ovvio che non essendo un novellino della politica il
ministro degli Esteri deciderà se scendere in campo solo sondaggi alla mano,
perché non vorrà andare a una sconfitta contro il centrodestra».
Però
chi lo conosce non bene, bensì benissimo, ossia il vice capogruppo dell’Ulivo al
Senato Nicola Latorre assicura che «Massimo ormai ha un ruolo istituzionale e
che piuttosto preferirebbe fare il ministro degli Esteri per altri 70
anni».
Trattandosi di D’Alema Massimo, e cioè non di uno qualsiasi, tutte le
sue mosse di questi ultimi giorni possono avere una doppia chiave di lettura. Il
presidente della Quercia avverte i tanti aspiranti candidati premier: «Guardate
che Prodi, appena si chiudono i congressi della Quercia e della Margherita
prenderà in mano lui la questione del Partito Democratico».
Che cosa
intende dire, ci si chiede? Vuol mettere a tacere le contese sulla leadership o,
piuttosto, come ha avuto modo di spiegare lui stesso ai fedelissimi, «bisogna
mantenere un rapporto stretto con Prodi», per riacquistare la fiducia del
premier persa nel 1998? E, si sa, ci vuole il via libera del premier per ambire
alla successione. Soprattutto quando nove anni fa si è preso il suo posto a
palazzo Chigi.
Anche quando D’Alema spiega a Piero Fassino che
autocandidarsi in anticipo è un «errore», perché i papabili sono per la maggior
parte dei Ds, e così si aprirebbe una contesa interna al partito di cui certo la
Quercia non ha bisogno, fioccano gli interrogativi. Già, pure su un’affermazione
del genere, del tutto ovvia, c’è qualche fassiniano che germina un
retropensiero: «Non è che D’Alema vuole stoppare l’autocandidatura di Piero
perché pensa di scendere in campo lui?». Il segretario liquida questi dubbi con
una frase secca: «Fesserie». Ma appena si ritrova solo con i fedelissimi a cui
deve spiegare perché ha fatto retromarcia sulla sua candidatura usa altre
parole: D’Alema non vuole che quel posto venga prenotato e io con lui non posso
ingaggiare un braccio di di ferro.
E ancora, c’è il D’Alema targato 2007,
più ulivista degli ulivisti. Quelli reclamano elezioni vere, sia per la
costituente del Partito Democratico che per il candidato premier. Elezioni che
coinvolgano i semplici cittadini e non gli apparati centrali e periferici di
Quercia e Margherita. La sua battuta ricorrente è: la società civile chiede una
testa e un voto, ebbene noi chiediamo mezza testa e un voto.
Ma il
presidente della Quercia versione iperulivista può avere due scopi. Entrambi,
ovviamente, dichiarati agli amici più fidati, perché un «ottimo professionista
della politica» non può lasciarsi una sola strada aperta. Primo, «visti i
sondaggi sul Pd», spiega D’Alema, dobbiamo coinvolgere più gente possibile:
persone che con la politica non c’entrano, altrimenti il nuovo soggetto politico
rischia di nascere asfittico. Secondo: io di passare per il «vecchio», per
l’uomo d’apparato non ci sto. E questo sembra il ragionamento di un signore che
non ha affatto deciso di non giocare più le sue carte sul tavolo da poker della
politica attiva.
Anche quand’è uscita la storia del Pantheon del Pd
D’Alema non ha gradito l’inserimento di Bettino Craxi fatto da Fassino. Sempre
per quell’occhio di riguardo agli ulivisti e alla società civile, che alle
primarie contribuiranno a scegliere il candidato premier del Partito
Democratico.
«Quando sento parlare di società civile, mi viene voglia di
mettere mano alla pistola», amava scherzare il presidente della Quercia. Ma ora
quella «società civile» potrebbe determinare, almeno per un pezzettino, la
scelta del successore di Prodi.
Ma siccome la Quercia, visto il peso
elettorale, non sarà ininfluente in questa scelta, D’Alema rassicura anche i
suoi iscritti: «I Ds dentro il Partito Democratico saranno più forti. Del resto,
non siamo sufficienti per imperniare su noi stessi il bipolarismo italiano, come
avviene in altri Paesi. Ed è proprio per risolvere questo problema che vogliamo
fare il Pd…».