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21 Dicembre 2005

L´ombra del falso in bilancio sulla riforma di Bankitalia

Autore: Massimo Riva
Fonte: la Repubblica

Doveva essere il gran giorno della riforma della Banca d´Italia e, invece,
è diventato quello del ritorno alla depenalizzazione del falso in bilancio. Il
presidente del Consiglio non ce l´ha proprio fatta a desistere dalla
riesumazione di uno dei più discutibili provvedimenti assunti nei primi cento
giorni del suo governo. Alla luce dei gravi episodi di malversazione finanziaria
di nuovo emersi in questi mesi, il Senato della Repubblica aveva avuto un
soprassalto di resipiscenza nell´esame del disegno di legge sul risparmio ed era
tornato, seppur senza calcare la mano, ad inasprire le sanzioni per uno dei
reati che più danneggiano la credibilità del sistema finanziario e del mercato
dei capitali. Ma Silvio Berlusconi, su questo tema che ha sfiorato da vicino
anche le sue aziende, non ha sentito ragioni.

Sulla materia «si torna al testo della Camera», ha detto il ministro
Tremonti. Ma così si cancella l´atto di coraggio del Senato e si torna al punto
di partenza. Per colmo di sicurezza, blindando la tenuta della maggioranza in
Parlamento attraverso il ricorso al voto di fiducia. Scelta che spazza via ogni
spazio di dialogo con l´opposizione e mette il governo al riparo da una
trattativa dall´esito di sicuro infausto perché la pur conclamata ricerca di un
consenso bipartisan sulla Banca d´Italia sarebbe andata a schiantarsi
platealmente contro la secca impuntatura berlusconiana sulla depenalizzazione
del falso in bilancio. Così mettendo ancora più a nudo l´incongruenza di un
governo che, unico nel mondo occidentale, ritiene di poter affrontare la
stagione degli scandali finanziari strizzando l´occhio ai manipolatori dei
bilanci, dietro la maschera di maggiori pene per il nuovo reato di attentato al
risparmio dall´impalpabile, forse impossibile, dimostrazione.

Insomma, le appassionate aperture al dialogo con l´opposizione proclamate
anche dalle voci più rappresentative della maggioranza, come quella del
presidente della Camera, si sono sciolte come neve al sole d´agosto in poche
ore. Su tutto e su tutti – perfino sulla saggia opportunità di offrire alle
cancellerie e ai mercati del resto del mondo l´immagine di un paese unito e
compatto nel ripristino della credibilità della sua massima istituzione
finanziaria – ha prevalso il calcolo strumentale di Silvio Berlusconi, che ha
approfittato dell´urgenza di sciogliere il nodo Bankitalia per imporre alla sua
stessa maggioranza un inchino obbligato ai suoi voleri meno virtuosi in materia
di falso in bilancio.
In queste condizioni, quella uscita ieri dal Consiglio dei ministri è una
riforma della Banca d´Italia che riflette unicamente la volontà del governo
Berlusconi e diverrà legge dello Stato solo attraverso la procedura di un voto
di fiducia che, dietro la giustificazione dell´urgenza, cela un´evidente volontà
di sequestro della libertà di voto dei parlamentari della maggioranza.

Chiarito questo sul metodo, per quanto riguarda il merito le cose vanno un
po´ meno peggio, anche se sono mancati il coraggio o la volontà di fare una
riforma a tutto tondo.

Intanto, si è stabilito un termine temporale al mandato del governatore e
dei membri del direttorio della Banca, che diventa finalmente sede di scelte
collegiali. La drammatica esperienza recente aveva reso indispensabile questo
adeguamento a quanto accade in tutti i maggiori paesi. Che poi si sia deciso per
un limite di sei anni più altri sei eventuali, anziché per cinque o sette, è un
particolare di scarsa rilevanza. Quanto alla procedura di nomina si è invertito
l´ordine dell´attuale schema triangolare che vede protagonisti il Consiglio
superiore della Banca, il governo e il presidente della Repubblica, attribuendo
al Quirinale un ruolo ancora più rilevante nella scelta del governatore.

Si è persa per strada l´ipotesi di un ruolo del Parlamento attraverso un
voto a maggioranza qualificata. Forse non è stata una cattiva idea: nelle
commissioni parlamentari la tentazione dei patti spartitori trova sempre terreno
fertile. Lo si è ripetutamente visto nelle nomine relative ad altre autorità di
controllo. Dove la proposta del governo appare del tutto inadeguata è a
proposito dei poteri in tema di concorrenza sul mercato creditizio. L´idea di un
condominio in materia fra Via Nazionale e l´Autorità Antitrust appare figlia di
uno di quei compromessi di bottega politica destinati a generare confusioni di
ruolo, sovrapposizioni di competenze e, infine, latitanza di responsabilità.
Questo è un errore perché l´esperienza del governatorato appena conclusa
dimostra che la somma dei poteri di vigilanza sulla stabilità e sulla
concorrenza nel mondo bancario può spalancare le porte a pratiche arbitrarie e
faziose. Ma forse era ed è troppo pretendere scelte nette e coerenti da un
governo che si è trovato a decidere sulla Banca d´Italia sotto la presidenza di
un premier il quale pensava soprattutto a riconfermare gli sconti per i
sofisticatori dei bilanci.

Rimane ora da sciogliere il nodo più rilevante con la nomina del nuovo
governatore. La speranza è che, almeno su questo, prevalga l´esigenza di
un´indicazione non partigiana, di sicura eccellenza e mirata anzitutto al
recupero di prestigio nelle sedi internazionali. Ma, alla luce di quanto
precede, va anche detto che tale speranza riposa essenzialmente nel ruolo
assegnato in proposito all´attuale capo dello Stato. Ancora una volta, dunque:
Sant´Azeglio pensaci tu.