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7 Aprile 2007

A colpi di quote e quotine il PD nasce già vecchio

Autore: Fabio Martini
Fonte: La Stampa

I Ds tornano ad etichettarla come
predicatore di sermoni, ingeneroso, sputasentenze. Ma non sarà vero che lei
è incontentabile? Da anni lei fa proposte spiazzanti, i Ds prima la
criminalizzano e poi eseguono alla lettera: liste unitarie, primarie, partito
democratico. Gramsci l’avrebbe chiamata egemonia culturale e lei invece
scalpita…

«Effettivamente, mi faccia un pò scherzare, la reazione
sembra seguire anche in questo passaggio uno schema fisso. Prima reazione:
“O mio Dio no!”. Seconda: “A pensarci bene, effettivamente…”. La terza:
“E’ l’unica soluzione”. Il quarto passaggio è: “L’avevo sempre detto”. Il
quinto: “Come è che non l’abbiamo ancora fatto?”. Ma l’ultimo passaggio
purtroppo è che i fatti nel migliore dei casi tardano, e talvolta sono
troppo diversi dalle parole».

Beh, non è del tutto vero: ricorderà
quel che disse Massimo D’Alema, appena sei mesi fa: “Per fare il partito
democratico non ci si scioglie in un’ora x, andando al gazebo”. A quanto
pare è stata fissata una ora x, il 14 ottobre, e andrete in mezzo ai
gazebo…

«Forse sono state dichiarazioni imprudenti per rassicurare il
proprio seguito. Capisco che quelli che nella carovana hanno masserizie
debbano talvolta rallentare il passo e chiedere ogni tanto una sosta. Ma
purtroppo questo non ci è concesso. Quello che io posso mettere al servizio
degli altri è solo la mia “leggerezza”. Non avendo bagagli posso permettermi
di fare lo scout: vado avanti, guardo, ritorno, riferisco. Ma ciò che
dobbiamo evitare è l’errore di rifiutare la prospettiva, farla
immediatamente nostra con le parole e poi non dar seguito ad esse nei fatti.
Ciò provoca nella nostra gente nevrosi, depressione, disaffezione,
nostalgie».

Dice Fassino: io opero, altri (lei) sanno solo criticare: in
cosa il partito democratico dovrebbero essere diverso da quelli
tradizionali?

«Primo: il recupero, l’ossessione del progetto. Secondo: il
riconoscimento della grandezza di quella forma che chiamiamo partito. Oggi
il termine partito si associa a cose sempre meno condivise, nonostante la
democrazia sia avanzata attraverso i partiti. Questo perchè quelli di oggi
sono spesso  delle imitazioni caricaturali».

Caricature? Vi militano
centinaia di migliaia di persone…

«Pensi: un partito dovrebbe essere
nientedimeno che l’anticipazione del progetto che gli aderenti propongono
all’intera società. Fare in modo che, almeno tra di noi, la società che
abbiamo in mente sia già esistente. Potrebbe dirmi quanti dei partiti attuali
corrispondono a questa definizione e ambizione? E quanti ne sono, invece, la
negazione? Con quale coraggio proponiamo una società improntata alla
legalità, mentre il partito cede nella quotidianità alla
illegalità?».

Morale della storia?
«Il partito democratico deve
essere innanzitutto un partito, e, se mi permette, un partito democratico.
Effettivamente.».

E invece qualcuno sussurra che la futura Assemblea
costituente sia stata già spartita per quote tra Ds, Margherita ed
“esterni”. Se così fosse?

«E’ l’assenza di una forte tensione progettuale
che sta spingendo i promotori a discutere innanzitutto delle modalità di
spartizione del potere. Noi dobbiamo invece partire dal progetto. Il che
equivale a dire partire dal mondo. Dalle speranze, dei paesi coinvolti in
una crescita impetuosa che si traducono in offerte e richieste verso di noi
paese sviluppati e quindi in occasioni di crescita. Ma anche delle paure e
tentazioni che sono all’origine del moltipkicarsi degli armamenti, penso a
quelli nucleari, e dalle minacce alla sicurezza e alla stabilità cioè a dire
alla pace. In questo questo mondo c’è bisogno più che mai di un’Europa  che
parli con una voce sola (nel mondo). In questa Europa c’è bisogno di
un’Italia  che sfugga alla tentazione delle piccole patrie e dei piccoli
interessi, un governo che governi con la forza necessaria questo processo.
Poiché di un governo del genere costituzionalmente non disponiamo, il
problema si risolve o con la spada costituzionale che riconosca
all’esecutivo la guida del Paese o con partiti con una vocazione generale
che offrano in competizione tra loro questa guida al Paese. Ma un partito
del genere non si costruisce con le quote, né aggiungendovi all’infinito
quotine che compongano il mosaico sociale con una logica burocratica, e men
che mai con scorciatoie mediatiche».

Non è un’utopia il partito dei
cittadini?

«No, dobbiamo ripartire dai cittadini che, mescolandosi tra
loro e riconoscendosi in un comune progetto, diano luogo ad un nuovo
soggetto».

E visto che sono ancora in vita, Ds e Margherita potrebbero
dire: alla fase costituente trasmettiamo i nostri iscritti.

«Ma in un
partito che nascesse con la logica delle quote come si potrebbe fare altrimenti?
Come si potrebbe evitare di riversare gli elenchi dei vecchi partiti, e per
di più questi elenchi? Ma così trasferiremmo al nuovo partito anziché i
crediti, i debiti dei vecchi. Le assicuro non è moralismo. É dire a voce
alta: le cose cui abbiamo assisitito nei partiti in questi anni non debbono
accadere mai più. Io credo che un partito nuovo non possa che nascere da
un’adesione diretta e personale al progetto che consideriamo comune.
Riconoscendo anche con un mea culpa collettivo le nostre colpe. Il pathos
senza il quale nessun partito può nascere nuovo, ci chiede anche passaggi
catartici».

Senza questi passaggi, secondo lei nascerebbe un partito già
vecchio?

«Un partito che non è all’altezza della sua verità, non può che
alimentare la nostalgia dei partiti di un tempo, alcuni dei quali sono
stati, modelli alti di democrazia. Nel mio partito l’incapacità di dar vita
ad un soggetto nuovo ha finito per alimentare la nostalgia del Ppi e della
Dc».

Ci sarà un’area ulivista Prodi-Parisi-Veltroni nel processo
costituente del Pd?

«Io parteciperò da cittadino tra cittadini. Mi
renderò disponibile solo alle iniziative definite dalla meta e non dalla
provenienza, confrontandomi invece con chi avesse un’idea burocratica o
mediatica della politica».

Se Veltroni punta alla premiership, per non
essere incoronato dagli apparati, dovrà partecipare alla fase costituente e
poi candidarsi alla guida del partito democratico?

«Di domande che
riguardano il presente ce ne sono già troppe per applicarsi già oggi a

quelle del domani. Mi auguro che prima della designazione del candidato per
le prossime elezioni ci sia ancora un lungo cammino».

Fantasiosa
l’ipotesi di un suo forfeit al congresso della Margherita?

«Al congresso
ci sarò da semplice militante e dirò quello che penso. Nella Margherita –
che ha avuto il grande grandissimo merito di aver tenuta aperta la
prospettiva del partito democratico – qualcuno potrebbe dire che la mia
linea ha vinto al cento per cento. Eppure partecipo al congresso col mio
solo voto: poco più dello 0 per cento. Ci sarò per segnalare la distanza tra
parole e fatti e per rappresentare le mie idee».

Quanta ipocrisia c’è nel
governo nel dire che si disinteressa totalmente della
questione-Telecom?

«Di gente che parla ce n’è già troppa. Io non
posso che riconoscermi nella scelta di non-interferenza ma anche
nell’attenzione del governo verso un settore nevralgico e per le vicende di una
impresa strategica per il Paese».

Con la chiamata in piazza della
Cei, rinasce una militanza cattolica e rinasce contro coppie di fatto e gay:
che segno è?

«Posso solo dire che sono profondamente preoccupato.
L’argomento ha un rilievo oggettivo e per me soggettivo che non mi consente
una risposta secca».