17 Maggio 2004
La fuga dalla responsabilità da parte del Governo ci fa sentire responsabili della vita dei nostri militari. Solo chi riconosce di averli cacciati in una guerra può aiutarli ad uscirne
Il nuovo tributo di sangue pagato dai nostri soldati, il lutto che abbruna di nuovo le nostre bandiere,il pianto delle famiglie sono la tragica prova di quanto andiamo ripetendo da tempo: che una cosa era non partire per una guerra ingiusta nella quale il governo ci ha coinvolto, una cosa è tornare dopo che l’incendio è stato purtroppo appiccato.
Nonostante la nostra avversione al governo e alla sua politica di sudditanza alla amministrazione Bush, non possiamo dimenticare che i nostri soldati sono là perché mandati da un governo che resta nonostante tutto, nostro. Anzi proprio la fuga dalla responsabilità del governo che sembra nascondersi dietro l’argomento che i nostri soldati sono andati lì volontariamente fa sentire noi responsabili della loro vita e impegnati al loro fianco perché escano al più presto dalla guerra col minor numero di sofferenze per loro e per gli iraqeni innocenti.
Tutto il resto è dettaglio inutile.
Il nostro obiettivo è mettere fine alla guerra o rientrare dall’Iraq.
Negando la realtà della guerra il governo rischia invece di farci prigionieri e vittime della guerra o costringere i nostri soldati a fuggire
dall’Iraq per uscire dalla guerra.
Solo in un contesto radicalmente nuovo che metta fine alla guerra, ridefinendo il quadro politico dell’intervento, finalità della missione, catena di comando e inevitabilmente le regole di ingaggio, i rischi ai quali i nostri soldati sono stati esposti dal nostro governo possono trovare un loro senso.