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16 Novembre 2004

Stato, Chiesa e la lezione di Giolitti

Autore: Mario Pirani
Fonte: la Repubblica

“PERCHÉ non possiamo non dirci laici”, ha affermato sulle nostre colonne Eugenio Scalfari, cogliendo nel segno. L´irrompere di tematiche religiose di diverso orizzonte nello scontro politico, sia su scala internazionale che all´interno dei singoli Stati, è un sintomo pericolosissimo che chiunque abbia dimestichezza con la Storia può avvertire. Le guerre di religione hanno insanguinato e devastato attraverso i secoli l´Europa e il mondo. Le loro radici risiedono nelle latebre della società e il conflitto, sovente, divampa all´improvviso. A

differenza delle guerre tradizionali, quelle in cui domina l´elemento religioso sono difficilissime da concludersi e si trascinano senza soluzione: i combattenti sono, infatti, dominati da idee assolute, non suscettibili, di per sé, di mediazioni di compromesso. Sono, per gli stessi motivi, crudelissime nello svolgersi, ogni parte in causa sentendosi portatrice del Bene in lotta con il Male. Infine non conoscono alcuna separazione tra civili e militari. Soltanto nel 1648 le paci (quella religiosa e quella politica) di Westfalia concludevano quella guerra dei Trent´anni che nella sola Germania, lacerata tra il Nord protestante e il Sud cattolico, aveva causato otto milioni di morti, carestie e pestilenze. Il conflitto era scoppiato quando due funzionari dell´imperatore cattolico, giunti a Praga per impedire la costruzione di alcune chiese protestanti, vennero gettati da un gruppo di nobili protestanti dalla finestra del palazzo reale. Al centro del contendere vi era il dilemma se i sudditi dei vari Stati dovessero o no conformarsi alla religione del loro principe (cuius regio eius religio) oppure emigrare.


Questo destino incombeva sul nostro continente fino a quando non si affermò la separazione tra Chiesa e Stato. Del resto l´interminabile e sanguinosissimo contenzioso nord irlandese spiega come il veleno del dissidio religioso sia difficilissimo da debellare. Oggi quel veleno ha ricominciato a spargersi ovunque a guisa di pandemìa globalizzata. Solo

uno scaramantico rifiuto, privo di senso, impedisce ai tanti “politicamente corretti” di riconoscere quanto pesi la pulsione del fanatismo religioso nella jihad islamica. Quel che suona come ancor più catastrofico è che alla sua logica militare e missionaria, che dilata sino al limite estremo il dualismo amico/nemico, corrisponde ormai «una logica altrettanto militare e missionaria, fondata sulle categorie del Bene e del Male invocate dall´America» (Renzo Guolo, “L´Islam è compatibile con la democrazia” ed. Laterza). Con la conseguenza che la guerra terroristica tende sempre più, malgrado gli scongiuri d´uso, ad assumere i caratteri di una guerra di religione che contagia anche il pensiero occidentale. Cosa altro significa d´altronde l´ansia neo-con di imporre con le armi la democrazia all´Islam, giudicato altrimenti incapace di controllare la sua deriva fondamentalista e aggressiva, se non la pretesa di “riformare” quella religione per renderla compatibile col bisogno di sicurezza americano La ostilità di gran parte dell´Europa verso lo spirito di crociata impresso da Bush alla guerra del Bene contro il Male, con epicentro l´Iraq, si spiega, assieme a motivazioni più volte analizzate, anche per il permanere nel Vecchio Continente di uno spirito laico che ha profondamente caratterizzato la società e le istituzioni (con una parziale eccezione per l´Italia), qualificato dalla netta separazione tra Chiesa e Stato, tra piena libertà religiosa e altrettanto piena indipendenza dei poteri democratici nel legiferare e nell´operare politico. Sottostà alla partizione fra Trono e Altare una filosofia di vita che influenza comportamenti, scelte e modi di sentire: laicismo è problematicità contrapposta ad assoluto, dubbio sistematico contrapposto a certezza aprioristica, storicismo agnostico contrapposto a finalismo etico. È immaginabile – per fare un esempio in chiave politica – che un eventuale, influentissimo sostenitore di Chirac, Schroeder o Blair possa rivolgersi in tv a Dio, il giorno dopo le elezioni, ringraziandolo per «la vittoria del suo messaggero», come ha fatto, inneggiando alla vittoria di Bush, il reverendo Falwell, capo della «Maggioranza morale» in nome di 80 milioni di evangelici americani Scendendo però dalla scala mondiale a quella italiana lo scontro perde i connotati del dramma per assumere quelli della commedia dell´arte con attori, reduci da copioni assai diversi, che s´improvvisano oggi crociati di Cristo, vogliosi di menar fendenti contro gli infedeli casalinghi e foresti.

Neo credenti illuminati dal verbo neo-con intuiscono il vantaggio di una vestizione religiosa che addobbi l´operazione politico-culturale da loro condotta per affermare una egemonia di destra nel nostro Paese. Tutto serve alla bisogna: dal caso Buttiglione alle cellule staminali. Il disegno non è però cervellotico: tende a fornire una cornice ideologica

e un contenuto unificante al legame di Berlusconi con Bush, con in sottofondo l´idiosincrasia per l´europeismo. Tutto questo non fiorisce sul nulla. Già da qualche tempo è riemersa preoccupantemente la questione dei rapporti Stato-Chiesa che nello scorrere del XX secolo era venuta perdendo le sue asperità, tanto da sopportare senza eccessive lacerazioni le difficili tappe del divorzio e dell´aborto. Per converso lo stesso laicismo si era stemperato nel cinquantennio della prima Repubblica, assumendo, per un verso, un sentore residuale, segnato da simboli e ricorrenze ormai desuete, a partire dal XX settembre, mentre, dall´altro, veniva riassorbito nella dialettica dei complessi rapporti fra Dc e Pci che, dal togliattiano art. 7 al berlingueriano compromesso storico, incanalò la compresenza dei cattolici e delle sinistre nella ricostruzione dello Stato post-fascista.

Un equilibrio che nella lunga e incompiuta transizione alla seconda Repubblica perde i suoi pilastri fondamentali, mentre nuovi soggetti politici compaiono sulla scena in un clima di delegittimazione reciproca. Oltre Tevere, intanto, si afferma un pontificato di straordinario impatto e carisma. In questo contesto acquista una forza propulsiva la aspirazione della Chiesa di riplasmare in senso cristiano aspetti fondamentali della società italiana, imponendo, grazie al deterioramento del tessuto politico, criteri di scelta, norme di vita, principi legislativi e di governo corrispondenti a valori etici di cui la Cattedra di Pietro si proclama infallibile interprete. L´ossessione prescrittiva di Giovanni Paolo – come l´ha definita Vittorio Foa – cui vanno aggiunte le ripetute prese di posizione della Conferenza episcopale, si è manifestata in un crescendo di esternazioni, specificamente mirate a questo o a quell´obbiettivo: dalla ricerca scientifica all´ordinamento scolastico, dalla morale sessuale alla procreazione controllata, dalla utilizzazione degli ormoni ai diritti delle coppie di fatto, fino alla stesura della Costituzione europea. È lecito obiettare che tutto ciò rientra nei compiti naturali del Magistero per cui non dovrebbe suscitare eccessive doglianze, il che sarebbe logico se l´azione della Chiesa fosse rivolta ad ispirare il comportamento dei soli credenti nella loro sfera individuale e non si proponesse di uniformare alla sua Verità quello della generalità dei cittadini e, soprattutto, delle pubbliche istituzioni. Questa è, invece, la realtà, che non sarebbe così foriera di preoccupazioni se ad essa non

facesse riscontro uno Stato indebolito nelle sue capacità di autonoma determinazione. Diversi fattori vi hanno contribuito. In primo luogo le sinistre frammentate e svigorite si sono dimostrate incapaci di elaborare un proprio disegno culturale o anche di raccogliere e rilanciare i valori dell´Italia unita, dal Risorgimento alla Resistenza e alla Costituzione. In secondo luogo la scomparsa della Dc ha fatto venir meno un potente fattore di coagulazione, mediazione e garanzia sia nei confronti dello Stato che della Chiesa, lasciando sul campo una serie di formazioni residuali sia nel campo del centrodestra che del centrosinistra, nessuna delle quali in dimensioni sufficienti per una rappresentanza univoca dell´universo cattolico. Di qui la rincorsa di tutti e di ognuno per strappare la palma di più fedele esecutore dei desideri ecclesiastici, così da ricevere un accreditamento da spendere sul piano politico. Dilapidata anche su questo versante l´eredità dei capi storici i quali, pur tra molteplici aggiustamenti nel bene e nel male, seppero mantenere quel “Tevere più largo” che consentiva loro non solo la collaborazione con gli alleati laici e socialisti, ma un ambito di propria autonomia politica nei confronti del Vaticano. Lo si vide,

tanto per richiamare un esempio illuminante, quando negli anni Cinquanta De Gasperi rifiutò il pressante invito di Pio XII, il Papa della scomunica contro i comunisti, a sdoganare l´estrema destra e blindare così a Roma una maggioranza clerico-postfascista. In terzo luogo la maggioranza di centrodestra ha progressivamente smussato e quasi cancellato il liberalismo, inizialmente conclamato, per abbracciare l´accattivante possibilità di subentrare alla Dc. Con la differenza che Berlusconi ha un Dna assolutamente antitetico a quello di un De Gasperi, di un Moro e di un Andreotti. Non ha una idealità propria da difendere e affermare ma una disponibilità a definirla, interpretarla e “venderla” sulla base delle esigenze del mercato politico.

Questa la chiave dei suoi successi ai meeting di Comunione e Liberazione dove si è sempre presentato non certo come un cristiano democratico, intriso di certezze di fede e dubbi esistenziali, ma quale fiero propugnatore di un cattolicesimo battagliero in un´Italia perennemente minacciata da quanti, in primis i comunisti, vorrebbero addirittura «togliere l´ora di religione dalle scuole». Nella sua veste di cavaliere della Fede mira ad identificarsi con le posizioni ecclesiastiche, non certo a salvaguardare i principi cavourriani di «libera Chiesa in libero Stato» che al giorno d´oggi appaiono come bestemmie comuniste. Così come impronunciabile per l´attuale presidente del Consiglio sarebbe il discorso di un suo grande predecessore su quello stesso scanno, Giovanni Giolitti che parlando a Montecitorio affermava: «Sulle questioni religiose il governo è precisamente e semplicemente incompetente… il principio nostro è questo, che lo Stato e la Chiesa sono due parallele che non si debbono incontrare mai. Guai alla Chiesa il giorno che volesse invadere i poteri dello Stato!» Era il maggio 1906 e i liberali erano autentici e non fasulli.