ROMA – «Gli abbiamo servito un amaro lucano». Il lucano è lì al centro del Transatlantico, circondato dai sorrisi dei colleghi, «complici» e comparse che ora si godono il grisbì di una vittoria inaspettata sul Polo. Antonio Boccia, ex presidente della Regione Basilicata, deputato della Margherita che è stato presentato a Prodi, tre settimane fa, come il «vero capo organizzativo dell´Ulivo» è la «mente» del Grande Colpo a Montecitorio. Lui ha preparato l´emendamento che ha scardinato la Finanziaria della Cdl, lui ha studiato la trappola nella quale sono caduti quelli della maggioranza tra le urla disperate del relatore Guido Crosetto: «Che avete combinato». Un disastro, per loro. Un successo per Boccia e la sua «banda» che ieri ha funzionato alle perfezione.
Un piano studiato nei dettagli. Gli sms spediti da Boccia e dal diessino Piero Ruzzante ieri a mezzogiorno: «Venite alle 16, presenza obbligatoria». Quando è così, anche i peones si risvegliano, vuol dire che c´è la possibilità di essere decisivi, di togliere la scena ai soliti leader. Qualche volta va bene, spesso è solo un fuoco di paglia. Ieri è stato un trionfo. Lo schema è collaudato. Il grosso dei deputati d´opposizione è in aula e attende la votazione. Una decina di loro invece chiacchiera sui divanetti e alla buvette, aspettando il momento giusto. Un despistaggio. Il segreto è in quei venti che stanno acquattati nei corridoi che corrono lungo il perimetro dell´aula, mimetizzati dietro le porticine che si spalancano sull´emiciclo, in cima agli scranni. «Indiani pellerossa che stanno con le orecchie a terra pronti al blitz, infilare la scheda al volo e piazzare la votazione decisiva. Alle 16 tutti gli uomini (e le donne) di Boccia sono al loro posto. La maggioranza vede i banchi vuoti nell´aula, non si fida, teme di andare sotto e prepara la contromossa. Prende la parola Crosetto e parla, parla. Lo segue a ruota il leghista Giorgetti e parla, parla. Il capogruppo di Forza Italia Elio Vito si guarda attorno e scuote la testa: tira ancora una brutta aria. Allora si alza Giuseppe Vegas, sottosegretario al Tesoro, e accende il microfono. Interviene per venti minuti, «il discorso più lungo che abbia mai sentito durante la discussione sulla manovra», se la ride Boccia. Serve a prendere tempo, a far arrivare i ritardatari, a convincere che qualche scontento perché anche Boccia sa che, senza il caos della maggioranza, il colpo non sarebbe riuscito. «Hanno un problema politico, noi lo abbiamo solo fatto venire alla luce». Vegas è stremato e dal centrosinistra urlano: «Chiudi, che avete i numeri». Il sottosegretario chiede conferma con gli occhi ai capigruppo della maggioranza e ottiene il via libera. Il vicepresidente della Camera apre la votazione, i venti deputati «invisibili» spalancano le porticine, entrano, infilano la scheda del voto e cambiano gli equilibri del voto.
Hanno aspettato trentacinque minuti, nel budello che abbraccia l´emiciclo, accanto all´ufficio fax, al dipartimento informatico, al pronto soccorso di Montecitorio. Renzo Lusetti è un ottimo anfitrione in questi percorsi segreti della Camera. I posacenere sono pieni di cicche, i funzionari di Montecitorio sono rassegnati: ogni tanto i loro uffici vengono occupati dai deputati che giocano a nascondino. Lusetti sospira: «Ecco, i venti erano qui. Quelli della maggioranza sono stati ingenui, nella Prima Repubblica non sarebbe mai successo. I democristiani guardavano anche dietro le porte… ».
È andato tutto benissimo, il tabellone elettronico certifica la vittoria, i deputati della maggioranza festeggiano Boccia. Pacche sulle spalle, abbracci, l´altro deputato di Potenza Mario Lettieri, cofirmatario dell´emendamento, gli alza il braccio: «Al vertice Berlusconi dovrà bere il nostro amaro lucano e rifare i conti, altro che taglio delle tasse». Ora tutti ricordano i successi di Boccia, le sue battaglie regolamentari, la sua capacità di leggere i provvedimenti parola per parola e di affondare il colpo quando serve. Lo chiamano Aiace «perché è una bestia d´aula», dicono gli amici. Lui si accontenta di definirsi «un mastino, faccio il mio lavoro». Ieri era particolarmente elegante, completo blu, vestito da grande giorno, segno che se l´aspettava o che ci sperava. Adesso lo celebra Francesco Rutelli, lo venerano i diessini. Lui divide i meriti: «Era tutto pronto dalla mattina, studiato a tavolino con Marco Boato e Renzo Innocenti». Dall´altra parte, Crosetto arrabbiatissimo si avvia verso la stanza del governo per riprendere il filo. Sorridono anche i neo-eletti Roberto Zaccaria e Sergio D´Antoni. «Abbiamo vinto di sette voti, quelli delle suppletive – osserva l´ex presidente della Rai – . In teoria, il governo si dovrebbe dimettere. Ma non dovrei dirlo io: sono qui solo da un mese, sarebbe il colmo andare alle elezioni anticipate».