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14 Febbraio 2004

Il testo integrale dell’intervento di Romano Prodi a conclusione della Convenzione della Lista “Uniti nell’Ulivo”

Amici, è bello essere qui con voi. Ed è bello essere in tanti. Ed è ancora più bello ricominciare tutti assieme a lavorare.


Amiche, amici,


poche sono le date che ricorderemo nei libri di storia. Ma il 1° maggio 2004 sarà una di queste date. Quel giorno, la nostra Unione si allargherà a dieci nuovi paesi. E per noi italiani sarà un giorno simbolicamente molto forte: a Gorizia cadrà l’ultimo muro che divideva l’Europa. Nella famiglia europea entreranno nuovi popoli e nuove terre. Avremmo potuto aspettare, e molti ci avevano chiesto di aspettare. Ma noi abbiamo scelto di andare avanti in fretta. Abbiamo deciso di costruire una grande Europa, una Europa a dimensione del grande mondo in cui noi ora viviamo. Sappiamo che non è possibile per alcun stato europeo, pur grande e potente che sia, avere un ruolo da solo nel mondo globalizzato. E noi italiani sappiamo questo meglio di ogni altro.



Cinquecento anni fa, i signori degli stati nei quali era allora divisa l’Italia, non compresero che con la scoperta dell’America era arrivata la prima grande globalizzazione. Credettero che i primati conquistati nelle arti, nelle lettere, nelle scienze, nel commercio e nella finanza, fossero sufficienti a garantire il loro futuro. Scelsero di restare divisi e furono perduti di fronte alla Spagna, alla Francia, all’Inghilterra che avevano capito che gli stati nazionali erano la risposta alle sfide di quel tempo.


Noi europei, noi italiani non abbiamo ripetuto questo errore. Noi abbiamo imparato la lezione della storia. L’Europa è la risposta che abbiamo dato alle sfide del nostro tempo.


Per arrivare sin qui abbiamo percorso un lungo cammino, un cammino fatto di sconfitte e di vittorie.



Oggi, 14 febbraio, cade – ed è una coincidenza straordinariamente fortunata – il ventesimo anniversario dell’approvazione da parte del Parlamento Europeo del progetto di trattato istitutivo dell’Unione Europea elaborato per iniziativa di Altiero Spinelli.


Nel ricordo di Altiero rendiamo omaggio a coloro che di questa Europa unita furono i fondatori e che noi riconosciamo come i nostri maestri. Un nome soltanto, il nome di un grande italiano, per ricordarli tutti: Alcide De Gasperi.


L’Europa, disse De Gasperi nel 1951, parecchi anni prima che diventasse realtà , era “l’occasione che passa oggi e non tornerà mai più”. Era convinto che fosse l’unica via per risolvere i problemi. Aveva colto il momento.


De Gasperi e Spinelli ci hanno indicato la strada. Ed è in questa stessa strada che noi nei passati anni abbiamo sempre incontrato il presidente Ciampi. E per questo gli siamo stati grati e gli siamo grati. E da quella strada noi non ci siamo mai scostati e non ci scosteremo mai.


Ma è un progetto difficile, è un progetto pieno di ostacoli. C’è un meraviglioso pezzo, negli scritti di Spinelli, proprio nel momento in cui trionfava il suo progetto, il Parlamento lo stava per approvare, in cui dice “Voi conoscete tutti il piccolo romanzo di Hemingway ( si riferiva a Il vecchio e il mare) nel quale il vecchio pescatore dopo avere trascinato il più grande pesce della sua vita, cerca di portarlo in porto. Ma, poco a poco, gli squali lo divorano tanto che, al suo arrivo nel porto, del grande pesce non era restato altro che una semplice lisca.” E dice Spinelli:


“Con il suo voto, tra qualche minuto, il Parlamento avrà preso il pesce più grande della sua vita. Ma lo deve portare in porto. Facciamo dunque attenzione, perché in ogni momento ci saranno degli squali pronti a divorarlo. Cerchiamo di non ritornare in porto con una semplice lisca”.


Anche noi non dobbiamo rallentare gli sforzi, anche noi siamo ancora ben lontani dal porto, e anche noi dobbiamo lavorare per portare nel porto tutta la nostra energia, tutto il nostro vigore .



E il 1° maggio è uno dei grandi appuntamenti con la storia. Ed è il segno evidente di ciò che l’Europa ha fatto per la pace. La violenza e le guerre hanno segnato tutta la storia d’Europa per generazioni e generazioni. Per la prima volta abbiamo avuto due intere generazioni in pace, per la prima volta noi espandiamo un continente totalmente in pace. E l’allargamento si ha per poter proseguire il nostro cammino di pace.


L’Europa allargata è una nuova realtà. Possiamo vederla di fronte a noi in alcune immagini rapide, semplici. Oggi siamo 380 milioni nella nostra Europa, 308 milioni nell’Euro. A maggio noi saremo 77 milioni in più. Aumenteremo del 20 per cento la popolazione, 5-6 per cento il reddito ma, attenzione, aumenteremo del 25 per cento gli scienziati e i tecnici applicati.


Entrano nella nostra Europa paesi poveri, ma entrano paesi intelligenti. E per tutti e due i motivi noi dovremo cambiare la nostra struttura produttiva.


Tutto ciò richiede nuove politiche. E noi ne saremo capaci perché noi, tutti noi che siamo qui dentro, sappiamo che esiste il mercato ma sappiamo anche che esiste il governo. E sappiamo che la storia degli allargamenti è felice o infelice a seconda della capacità dei governi. Sappiamo del grande successo che ha avuto l’Irlanda nell’allargamento, che da paese povero è diventato un paese con un reddito pro capite superiore a quello della Gran Bretagna. E questo sembra quasi un’ironia della storia.


Ma questo si spiega con la grande solidarietà dell’Europa, in cui nuovi paesi sono cresciuti più dei paesi vecchi, e hanno dato all’Europa vigore ed energia.


E questo darà anche il grande allargamento del 1° maggio.


Poi l’Europa proseguirà il suo cammino. Nel 2007 entreranno la Romania e la Bulgaria, poi c’è la Turchia come paese candidato ma per cui ancora non sono cominciati i negoziati, dovrà nei prossimi mesi decidersi se adempiere ai criteri di Copenhaghen, e poi la nostra Europa dovrà certamente allargarsi verso i Balcani. Dovrà comprendere questa parte del continente massacrata dalle tensioni, perché solo l’Europa può portare pace ai Balcani, solo l’Europa può portare i Balcani in una via di sviluppo. E dobbiamo preoccuparci di questo, la dimensione europea è talmente grande che il costo di questo allargamento è pressochè trascurabile. Non voglio oggi certamente tediarvi con cifre o con dati economici, vorrei solo ricordarvi che insieme tutti i Balcani arrivano all’uno per cento del prodotto nazionale lordo europeo. E quindi se anche si dovesse dare il cinque per cento dell’uno per cento ogni anno, è qualcosa alla nostra portata, un piccolo prezzo per la pace, minimo di fronte a quello che è costato la tragedia della guerra.


Poi, ecco, l’Europa ha raggiunto per il tempo prevedibile la sua dimensione, il suo spazio. Ma il senso della pace, il senso di responsabilità, non si ferma a questo punto. E allora abbiamo elaborato, abbiamo approvato insieme la proposta dell’anello degli amici. E tutti i paesi che stanno attorno al nostro continente, dalla Russia fino al Marocco, condivideranno con noi tutto tranne le istituzioni. E cioè collaboreranno con noi nel commercio, nella sicurezza, nell’ambiente, nella protezione della salute, nella tutela dei consumatori, nella gestione dei problemi grandissimi dell’emigrazione, e questo modificherà profondamente il concetto di sicurezza. Concetto che in Europa è importantissimo e che dovremo ancora elaborare ma che parte dal concetto di “sicurezza soffice”, “soft”, e cioè la sicurezza che viene dall’essere circondati da un grande gruppo di paesi amici.


Questo ha una importanza enorme per noi, doppia per gli italiani che per gli altri europei. Perché significa portare pace e cooperazione nel mediterraneo. E noi stiamo lavorando, e abbiamo avuto risultati lusinghieri, perché nel Mediterraneo non vi siano più tensioni, non vi siano più paesi che provocano tensioni, non vi siano più paesi che esercitano una politica di tensione.


Naturalmente è chiaro che nella nostra Europa non vi è la stessa sensibilità per i problemi del Mediterraneo che vi è in Italia. E allora l’Italia deve, finalmente, su questi temi avere la leadership in Europa, deve battersi per questo, perché non c’è alcuna possibilità di sviluppo nel Mezzogiorno se non abbiamo un Mediterraneo prospero e pacifico. E’ nostro interesse e nostro dovere, e ricordate che questo è favorito dalla nuova economia del mondo, è favorito dalla nuova economia che spinge dall’Asia e arriva verso il Mediterraneo. L’Italia è di nuovo al centro dell’economia mondiale. Noi ci siamo allontanati cinquecento anni fa con la scoperta dell’America, ma il Mediterraneo è ritornato centrale oggi con la grandezza dell’Asia.


E nessuno di noi pensa che già oggi l’Europa commercia più con l’Asia che con l’America. Nessuno di noi riflette su questi temi. Questo significa il nuovo Mediterraneo, questo significa la nuova centralità del nostro paese.



E’ chiaro però che tutti questi grandi cambiamenti, tutti questi passaggi creano paura. Paura nei nostri popoli, paura nei nostri governi. I popoli hanno paura di perdere i loro vantaggi in questi passaggi complessi, i governi hanno paura di perdere privilegi e poteri. Ed è chiaro questo rischio nel difficile passaggio della approvazione della Costituzione europea, in cui questa paura emergeva, con le difficoltà di trovare un coagulo e una unione comune.


Ma questo è, assolutamente, il futuro. Di fronte ai nuovi grandi protagonisti, l’Europa rischia di essere schiacciata fra gli Stati Uniti e la Cina. E noi abbiamo reagito di nuovo in un modo rigorosamente esatto dal punto di vista verbale, ma abbiamo agito poco con i fatti. Abbiamo mandato avanti il cosiddetto processo di Lisbona, in cui si ripete continuamente che entro il 2010 dovremmo essere la struttura più efficiente, più avanzata del mondo. Abbiamo indicato alcuni strumenti fra cui l’aumento delle spese di ricerca e di sviluppo, ma da questi obbiettivi ci siamo allontanati. In alcuni paesi, fra cui il nostro, la spesa della ricerca è addirittura diminuita. Sono problemi di fronte ai quali occorre una reazione forte, occorre cambiare priorità della nostra politica. La priorità ora è una sola, le risorse umane. E’ una sola, la scuola. Una scuola rinnovata, dalla materna fino all’università, a livello nazionale o regionale o locale; una scuola che trova a livello europeo alcuni grandi centri di ricerca capaci finalmente di attrarre i migliori scienziati del mondo. Finché vi saranno centinaia di migliaia di scienziati europei negli Stati Uniti, l’Europa non potrà avere mai il primato della scienza. Finché noi non riusciremo ad attrarre le migliori energie umane del mondo, non avremo mai il primato della scienza. Allora noi dobbiamo creare questi punti di eccellenza, in cui i nostri giovani ricercatori vadano con la speranza di poter diventare un giorno dei premi Nobel.



E l’Europa ha già costruito molti strumenti per arrivare a questo. Il primo, il più forte e importante strumento è stato l’Euro. E l’Euro ha dato un messaggio politico di nuova sovranità. E’ il segno visibile della nuova realtà politica, ed è interessante la percezione esterna che io ho potuto avere dell’Euro in questi anni, in cui ho avuto – per fare un esempio solo – la fortuna di avere ogni anno lunghi colloqui con i più alti responsabili della politica cinese su questi problemi. Ed è straordinario, perché quando si parlava dell’Euro la domanda era “ma lo farete davvero?”, “ma veramente spariranno il franco e il marco (sulla lira non ho mai avuto domande…)?”. E ancora: “davvero avrete una moneta di metallo, di carta, una moneta che si tocca?”. E infine, quando è arrivato lo splendido risultato, il presidente cinese mi disse: “il nostro paese avrà una politica in cui le riserve in Euro cresceranno ogni anno fino ad arrivare ad essere eguali a quelle in dollari. Per un semplice motivo: io non voglio un mondo monopolare, io voglio vivere in un mondo multipolare. Io voglio vivere con del respiro. E l’Euro mi dà il respiro”.



Per noi italiani la corsa verso l’Euro ha significato il superamento di un modello economico e di disciplina politica e sociale che non reggeva più.


Ha segnato la fine delle svalutazioni competitive, e ci ha obbligato ad azioni coerenti anche se molto dolorose. Abbiamo in pochi anni risanato il bilancio pubblico, senza artifici e senza condoni. Senza artifici e senza condoni! E quando è stata l’ora di chiedere questi sacrifici, li abbiamo chiamati come tali, ho anche chiamato la nuova imposta “tassa per l’Europa”. E tutti gli italiani l’hanno pagata, perché questo era il prezzo del nostro risanamento.


Solo grazie all’Euro possiamo ridare fiducia al nostro paese. Abbiamo le condizioni per ridare fiducia all’Italia. Solo grazie all’Euro possiamo dire, in un linguaggio più familiare, che possiamo risvegliare la Cina che c’è ancora in noi.



Ho più volte detto, e qui lo ripeto, che in Europa l’aumento dei prezzi è avvenuto soltanto in due paesi su dodici che l’hanno adottato. E in un solo di questi l’aumento è stato accompagnato dalla stagnazione dell’economia. Questo paese è l’Italia, dove si sono voluti togliere tutti i controlli, ancora una volta perché non si vuole capire che il mercato per essere libero non può essere senza controllo. E anche a questo noi possiamo portare rimedio, anche se certo rimettere indietro i prezzi che sono scappati è un po’ come riportare il dentifricio dentro il tubetto. Ma noi lo possiamo fare proprio perché noi sappiamo che esiste il mercato, e esiste anche il governo.



Abbiamo visto che con l’Europa noi possiamo vincere.


Ma c’è qualcosa di ancora più importante per noi che siamo qui e per i nostri amici che ci seguono: che con l’Europa possiamo diventare competitivi conservando e migliorando un modello sociale, che è il nostro modello sociale.


Fuori dall’Europa potremmo anche vincere ma saremmo costretti a subire modelli sociali che a noi sono completamente estranei. Questo è un prezzo che noi non possiamo pagare!


Fortunatamente si sta svolgendo un nuovo dibattito in Europa e in Italia, e queste giornate lo hanno già messo in rilievo in molti interventi. E’ finito il pensiero unico, tutto oggi è più complesso, più serio. Si torna a riflettere sui momenti fondamentali della nostra vita, sui momenti fondamentali della nostra società. Le improvvise crisi di imprese di settore e di distretti ci spingono di nuovo a parlare di politiche industriali. Le insicurezze dei giovani ci obbligano a pensare alla disoccupazione, al lavoro precario e alle sensibilità non governate. L’invecchiamento della popolazione ci obbliga a riflettere sulle pensioni , e nei momenti del dolore e della paura i cittadini debbono avere dal servizio sanitario nazionale una risposta al loro dolore e alla loro paura. E dobbiamo avere una scuola capace di rispondere alla velocità di cambiamento e una società che ci tolga dall’ansia del degrado dell’ambiente e della sicurezza degli alimenti.


Ecco, questo breve quadro ci dice un messaggio molto preciso: la sicurezza rispetto al presente e rispetto al futuro, degli anziani e dei giovani, è la grande preoccupazione di tutte le famiglie italiane. Tutto ciò sta cambiando le preferenze che sembravano acquisite per quanto riguarda le garanzie e le prestazioni dei servizi dei cittadini. Questa nuova saggezza sta lentamente penetrando nel pensiero europeo ma non si è ancora fatta esplicitamente dottrina politica. E riflettere su questo dovrà essere il grande contributo al nuovo riformismo europeo. Questo sarà il grande compito per tradurlo in un programma comune, un programma forte ma un programma onesto e vero. Non una falsa promessa con cui si possono eventualmente vincere le elezioni ma si inganna il paese.


Ce lo chiedono tutti quei milioni di italiani che hanno perso il loro potere di acquisto, che stanno soffrendo per la stagnazione. E qui davvero mi riesce difficile pensare alle disquisizioni sull’Istat o sulla non Istat. E sentire il commento di una forte ripresa e nello stesso tempo i dati dell’ultimo trimestre che sono di sviluppo zero. Quando la parola è zero, l’interpretazione purtroppo è facile.


A tutte queste paure, a tutti questi problemi rispondiamo che noi ce la possiamo fare perché noi lavoriamo assieme, possiamo mobilitare delle energie, non imponiamo niente a nessuno. Noi proponiamo qualcosa che viene accolto, perché il paese è con noi, perché sono con noi coloro che non si accontentano di chiacchiere ma vogliono costruire insieme il loro futuro. Noi non nascondiamo le sofferenze delle famiglie, noi ci mettiamo insieme a loro per risolvere. E noi sapremo dire dei si, e dei no. Ma lo possiamo fare noi perché sappiamo che esiste il mercato, ma esiste anche il governo.



Nella storia del dopoguerra italiano l’Europa è stata sempre il terreno comune e concorde di tutte le forze politiche del Paese.


Per la prima volta nella nostra storia il tema europeo divide le forze politiche del nostro paese. Per la prima volta si contrappongono in modo aperto in Italia gli europeisti e gli antieuropeisti.


I dibattiti sull’Euro, sul protezionismo, sulla Cina sono stati impostati con questo obbiettivo, sono guidati dalla paura. E quello che solleva ancor più la mia indignazione è il sottile veleno che si sta cercando di insinuare nel nostro paese il veleno che dice che si deve essere antieuropeisti per essere filoamericani. Questo non è l’insegnamento dei padri fondatori, e ricordatevi che questa non è nemmeno la posizione voluta e perseguita dalla parte più illuminata della stessa classe politica americana.


L’Europa anzi è la premessa indispensabile per dare dignità a questa alleanza. E senza dignità non c’è né alleanza né amicizia. E vorrei qui ricordare come nei delicati anni della formazione dell’Euro l’Amministrazione americana che avrebbe potuto sbriciolare questo edificio mentre lo si costruiva ci è stata sempre alleata. Mi ricordo anche come personalmente il ministro del Tesoro in giorni difficili venne a Roma ad aiutare in modo concreto l’entrata dell’Italia nella moneta comune europea.



Ed è triste constatare che, per la prima volta, la politica europea non può contare sull’Italia. Per la prima volta le elezioni europee dividono il paese sulla politica europea. Nelle scorse elezioni i temi di confronto erano sempre stati temi nazionali, perché sull’Europa eravamo tutti comuni. Il 13 giugno invece si voterà per l’Europa e sull’Europa. E da una parte noi, gli europei (e tra noi anche gli eredi di coloro che non erano europeisti ai tempi di De Gasperi), e dall’altra parte loro, gli euroscettici, e tra loro molti che pretendono definirsi eredi di De Gasperi, di Adenauer e di Schuman.


Ed è ancora più triste constatare che non solo l’Europa ma nemmeno le Nazioni Unite possono contare sull’appoggio della condivisa tradizione del multilateralismo italiano.


Abbiamo perduto una linea della nostra politica estera, e non è sostituita da alcuna altra linea che guardi al futuro. E allora vi dico, amici che non bastano, non basta coltivare relazioni personali per supplire alla mancanza di visione e di ruolo della nostra Italia.



E se riflettiamo un attimo al terribile 2003, alle vicende del conflitto irakeno, il nostro attaccamento al multilateralismo e alle Nazioni Unite non era il frutto della vecchiaia. Era il frutto della saggezza, era il frutto della lungimiranza. Noi non eravamo vecchi ma eravamo saggi. E soprattutto eravamo responsabili!


E oggi, anche se con la lentezza dei tempi sempre necessaria per le grandi svolte politiche, emerge che nessuno da solo, nessuno, anche se può vincere la guerra, può portare pace e democrazia. La democrazia, così come la fede nei secoli e nei millenni scorsi, non si presta ad essere esportata ed imposta con la forza. Questa è la lezione che ci viene dall’Irak.


Ma il nostro continuo appello al multilateralismo non contraddice la nostra volontà e la nostra capacità di agire. Per essere soggetto di pace in un mondo percorso da conflitti dobbiamo essere pronti e disposti ad avere una forza di difesa, in ultima analisi un esercito europeo, e a tenere conto in futuro di questa necessità nei nostri bilanci.


Noi sappiamo prendere decisioni. In silenzio, nei momenti più difficili – e permettete che io ritorni un attimo con commozione anche personale a quelle difficili scelte vissute assieme a Nino Andreatta – dall’Albania in poi abbiamo dimostrato capacità di prendere le nostre decisioni e di assumerci fino in fondo le nostre responsabilità, nel momento in cui bisognava dimostrare che per la pace siamo disposti a rischi e a sacrifici.



Non è questa, amici, l’occasione per affrontare, uno per uno, i punti che dovranno comporre il programma col quale ci presenteremo agli elettori.


Nel volume intitolato “Europa: il sogno, le scelte”, che ho pubblicato come contributo alla discussione, ho già detto molte delle cose che io penso, a proposito di  immigrazione, di sicurezza, di giustizia, di tutela della salute, di ambiente.


Adesso spetta al gruppo di lavoro presieduto da Giuliano Amato – che io qui ringrazio di cuore, veramente, per avere accettato questo compito così difficile – di dare forma compiuta e dettagliata al nostro progetto di Europa, in un dialogo aperto con la società civile. E’ un impegno che richiede la mobilitazione di tutte le nostre risorse perché quello sarà il cuore della nostra politica.



Cari amici, care amiche,


la democrazia europea è salda ma è in affanno. Cala la partecipazione al voto, si avverte un distacco crescente fra i cittadini e le istituzioni, i partiti politici faticano ad operare come canali per la formazione e la partecipazione politica. E si diffondono anche messaggi di chiara impronta populista e anche xenofoba. I mezzi di comunicazione invadono la politica e ne diventano spesso il primo, dominante strumento.


Tutto questo è vero. Ma nel contempo temi come la pace, il destino dei paesi più poveri, l’ambiente, la salute, mobilitano in forme nuove i cittadini. Li mobilitano e li uniscono, tanto da far parlare della nascita di un autentico “popolo europeo”. Vorrei solo richiamare qui quello che è successo nel momento dello scoppio della guerra in Irak. La mobilitazione dei cittadini è stata la stessa a Piazza San Pietro e a Trafalgar Square, è stata a Parigi ed è stata a Bratislava, è stata a Berlino, ed è impressionante, un fenomeno impressionante vedere come i dati non abbiano nessuna relazione con l’atteggiamento dei governi. Nessuna. La stessa opposizione alla guerra è stata fatta con i governi che hanno agito in un modo e con i governi che hanno agito in un modo opposto. Ecco, mi chiedo se queste cose, se questi momenti non siano il segno della formazione di un popolo europeo. Piano piano si va formando questo popolo europeo.


E allora noi dobbiamo aiutare la formazione di questa grande, comune volontà europea. Perché il cittadino europeo torni a sentirsi sovrano, accanto e insieme ai partiti, devono entrare in campo movimenti, associazioni, sindacati, corpi intermedi, parti sociali, in cui le donne assumano finalmente il ruolo qualitativo e quantitativo che a loro spetta. Attorno allo scheletro delle elezioni bisogna modellare i nervi e i muscoli di una nuova partecipazione.


Ma resterà certo una democrazia anemica quella che non si reggerà su un’ampia e condivisa base di valori generali. Soltanto il senso di una civiltà condivisa permetterà una reale capacità di decidere, con una parte legittimata a far valere il proprio ruolo di maggioranza e l’altra che non si sentirà fuori gioco perché è in quel momento minoranza. Soltanto così si potrà avere un confronto vero, aperto, tra posizioni, proposte politiche, valori diversi.


A chi dipinge scenari a tinte fosche, a chi prospetta e, in realtà, vuole il ritorno alle contrapposizioni ideologiche degli anni della guerra fredda, noi rispondiamo che questa è una descrizione di fantasia, è una descrizione di una fantasia malata.


La democrazia europea è salda. La pace è acquisita. La sicurezza è garantita.


A chi predica e pratica la chiusura di nazioni piegate su se stesse; la protezione dei piccoli privilegi; il diritto di veto eretto a sistema; il rifiuto delle regole della buona finanza; la fuga dalle responsabilità verso il resto del mondo e l’ambiente; il disinteresse per il malessere dei meno fortunati: a questi noi rispondiamo che i nostri valori, le nostre proposte sono diverse.


A questa elezioni noi ci presentiamo con i valori e con gli obiettivi dell’Europa unita.


A quest’Europa di pace, sicura, fiduciosa nel proprio avvenire, noi portiamo il contributo del nostro impegno serio.



Un impegno – e lasciate che per un momento solo io parli di me stesso – che io per primo, come responsabile dell’istituzione che rappresenta l’interesse comune europeo, sono chiamato ad onorare, ad onorare fino in fondo.


E’ per questo che, pur di fronte alle tante, amichevoli, affettuose e politicamente motivate pressioni perché mi presentassi come candidato alle elezioni ho deciso di rispondere con un “no”.


Un “no” per proteggere la credibilità di noi tutti. Di noi italiani, tutti gli italiani, troppo spesso trattati come gli allievi indisciplinati e poco affidabili della classe europea. E la credibilità di tutti noi che ci troviamo qui oggi, noi dell’Ulivo, partecipi e portatori di un progetto politico di ormai dieci anni che ha avuto e continua ad avere nell’Europa la sua stella polare. Di un progetto che non ha bisogno di lifting per tenere il passo coi tempi. E dopo quello che io vi ho detto dell’Europa, e dell’importanza che l’Europa ha per l’Italia, io credo che tutti voi comprenderete le ragioni di questa scelta.



Fino al prossimo 31 ottobre io resterò a Bruxelles. Per completare e  rispettare fino all’ultimo giorno il mandato di presidente della Commissione che mi è stato affidato nella primavera di cinque anni fa dal Consiglio e dal Parlamento Europeo. Per mantenere fede fino all’ultimo minuto al giuramento fatto di fronte alla Corte di Giustizia di servire l’interesse comune europeo.


Questo mi imponeva la mia coscienza. Questo mi imponeva il mio ruolo di capo dell’esecutivo europeo. Analogo, credo e spero, sarà il comportamento, analoga la fedeltà al proprio incarico dei capi degli esecutivi nazionali. Di tutti i capi degli esecutivi nazionali. Per il rispetto dovuto al Parlamento Europeo, alle loro istituzioni nazionali e anche, permettetemi di dire, ai cittadini.



Oggi noi completiamo la costruzione di una nuova casa. Una casa sulla quale, rispettando la tradizione che vuole che si alzi una bandiera quando si finisce il tetto, noi piantiamo due bandiere, il tricolore italiano e la bandiera blu con le dodici stelle gialle dell’Europa.


In questa casa, io potrò entrare solo a partire dal prossimo 1° novembre. Ma questa è già ora la mia casa. Questa è la mia famiglia politica.


Con i quattro partiti dell’Ulivo che per primi hanno raccolto l’appello all’unità e che danno impulso a questo progetto, con i movimenti, le associazioni, le componenti della società civile, gli uomini e le donne che, giorno dopo giorno, hanno scelto di condividere questa proposta, noi lanciamo un progetto politico forte.


Noi lanciamo un progetto politico che dice queste semplici grandi parole: Uniti nell’Ulivo. Per l’Europa. Questo sta scritto nel simbolo della nostra lista. Questo è il nostro impegno.


Si può fare ironia, si può sorridere, ma mentre gli altri si dividono noi camminiamo insieme. Noi camminiamo insieme per costruire una nuova classe dirigente, per costruire una nuova squadra di governo.


I cittadini, e i nostri elettori si aspettano, vogliono che l’unità che abbiamo realizzato nella prospettiva del voto europeo diventi, sulle ali di un grande risultato elettorale, un elemento consolidato della politica italiana ed europea.


I nostri cittadini non ci capirebbero se dopo le elezioni europee dall’unità noi tornassimo alla divisione.


Il 13 giugno è solo una tappa del nostro cammino per l’Europa e per l’Italia in Europa. Più in là, ci aspetta un altro traguardo.


In quella direzione, amici, noi saremo ancora più numerosi. Altre forze del centrosinistra, che in questa occasione hanno scelto di muoversi con diversa velocità, si uniranno a noi nel segno dell’Ulivo e del rinnovamento.   


Con loro, nella sicurezza che si camminerà uniti gli uni a fianco degli altri, l’appuntamento è per il giorno dopo le elezioni europee.


Uniti, possiamo ridare fiducia a chi guarda preoccupato ai cambiamenti del nostro tempo. Uniti, possiamo essere artefici di una grande nuova azione internazionale.


Uniti possiamo costruire un nuovo futuro per l’Italia e per l’ Europa.


Grazie.