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7 Febbraio 2019

PARISI:”I TEDESCHI VOGLIONO ARRUOLARE NEL LORO ESERCITO ANCHE CITTADINI DI ALTRI PAESI UE.”
Corriere7

(Prima versione di un intervento sul Corriere7 del 7 febbraio 2019 poi ridotta per questione di spazio ad una dichiarazione)

Sarebbe una buona idea aprire gli eserciti nazionali a cittadini di altri paesi dell’Unione Europea sull’esempio di quello che pensano di fare i tedeschi?

Solo ad un generale della Bundeswehr poteva venire l’idea di risolvere i problemi aperti dalla sospensione della leva e dalle insistite richieste di Trump sul contributo all’impegno della Nato attingendo a quello che il suo connazionale Marx aveva definito con termini militari l’Esercito Industriale di Riserva. Il bacino di 530 Mila immigrati in Germania dai Paesi delle periferie europee – in primis cittadini italiani, rumeni, e polacchi – che l’economia non riesce più a mettere a valore e tuttavia preziosi perché giovani, residenti da tempo, e capaci di un fluente tedesco. Una idea “astuta”, ma purtroppo pensata in tedesco, segno del ritardo di un pensiero europeo e causa di ulteriori guai nell’Unione.

Che l’Europa per dirsi soggetto capace di operare in modo unitario abbia bisogno di uno strumento di difesa comune è fuori discussione. Ma partire dalla creazione di questo strumento, e dentro questo dalle necessità di alimentazione del personale di strumenti nazionali distinti lungi dall’avvicinarci all’obiettivo ci allontana. La forza armata non è un fine ma un mezzo della politica estera, appunto, uno strumento. Solo e nella misura in cui questa politica estera sarà raggiunta avrà un senso compiuto parlare di esercito europeo.

Anche se molte sono le cose che nel frattempo possono e debbono essere fatte assieme, fino a quel momento è inevitabile che ognuno faccia da solo pur collaborando con il maggior numero possibile di Paesi dell’UE. Quello che tuttavia eviterei è di peggiorare le cose. Così come il recente trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania, non avvicina l’obiettivo di una politica estera comune dal momento che ribadisce che nell’Unione ci sono Paesi più eguali degli altri, e tra questi uno che non mi sembra intenzionato a condividere il
suo armamento nucleare, ho paura che anche l’iniziativa tedesca, se presa in modo come in questo caso unilaterale, possa contribuire alla confusione generale. È infatti evidente che senza un esercito unificato e senza la guida di regole comuni e organi centrali, dentro questo “mercato comune” del reclutamento militare il movimento di persone che consegue dall’apertura degli eserciti nazionali ai cittadini di altri paesi europei è destinato a funzionare con effetti e vantaggi diversi per i diversi Paesi. O qualcuno pensa che la probabilità che cittadini tedeschi arruolati in Italia sia comparabile a quella di cittadini italiani che si arruolano in Germania?
Avremmo di certo italiani in uniforme tedesca. Non altrettanti tedeschi in uniforme italiana. Quello che si annuncia non è una parvenza di esercito europeo, né un esercito di europei, ma un esercito di soldati comunque tedeschi.

La condizione di cittadini è il fondamento dell’obbligo di quella solidarietà nella difesa del proprio Paese, l’unico che la nostra Costituzione definisce come un “dovere sacro”. Un obbligo esclusivo. Fino a quando la cittadinanza europea non prevarrà su quella nazionale nessuno potrà giurare fedeltà al proprio Paese e contemporaneamente ad un altro del quale non è cittadino. Solo i cittadini, sono soldati, tutti gli altri sono assoldati cioè mercenari siano essi inquadrati in reparti ordinari o in legioni straniere.
Prestare servizio in una Forza Armata non è lo stesso che lavorare alla Volkswagen sulla base di un libero scambio affidato ad un contratto. E anche per uno straniero che frequenta una Accademia militare la differenza la fa il giuramento fondato su una stabile appartenenza.
Se non si vuole creare altro caos bisogna perciò fare le cose in ordine: prima l’integrazione istituzionale e la la politica estera, poi lo strumento militare, infine l’arruolamento. E, alla base di tutto, far crescere l’appartenenza e la cittadinanza europea: tra i cittadini e tra i generali.