Roma, 24 gen. (LaPresse) – “La politica non si fa con il ‘che’, ma con il ‘chi'”, dice Romano Prodi citando l’amico di sempre Arturo Parisi. “È roba da professori” spiega il diretto interessato a LaPresse.
DOMANDA – Ieri l’ex premier, da padre nobile, ha rifilato una stilettata alla sinistra e al Pd: Mancano idee e leader, ha detto. Poi l’ha citata. Qual è il senso delle sue parole?
RISPOSTA – È una questione antica semplice e allo stesso tempo complicata. Un confronto che dura da decenni, tra me che da sociologo politico guardo al ‘chi fa’, e lui economista industriale che privilegia il ‘che fare’. Senza un progetto non si arriva. Ma senza un soggetto, collettivo e allo stesso tempo dotato di una leadership riconoscibile, senza un soggetto che persegua questo progetto non si parte neppure. Si può certo fare opposizione, e si deve. Ma non basta. Quello che serve è soprattutto una alternativa. Senza una alternativa, una alternativa concreta comparabile all’esistente, anche la democrazia è un nome vano. Solo tra alternative il cittadino può esercitare la propria scelta.
D – Siamo alla vigilia delle primarie Pd. Lei vede “una leadership riconoscibile” in grado di fare dell’opposizione un’alternativa?
R – Perché venga fuori dobbiamo confidare sulla competizione per l’elezione del segretario del Pd, e sulla definizione di una aggregazione più ampia per le elezioni europee. Per ora disponiamo purtroppo solo di nomi autorevoli ma non ancora di progetti ad essi associati che consentano di distinguerli e riconoscerli come soggetti politici e non solo per le loro qualità individuali. Nel dibattito nei circoli, l’unico che ricorda quelli che furono un tempo i congressi, non ho visto progetti a confronto, ma al massimo la misura di vicinanze o lontananze figlie di frequentazioni troppo passate e spesso troppo recenti. In particolare è mancato il confronto sulla scelta su come andare alle prossime elezioni europee che sarebbe oggi il tema cruciale. Il risultato è che questa finirà nelle mani del nuovo segretario che nelle poche decine di giorni che separano la presentazione delle liste dalla sua entrata in carica si troverà a fare questa scelta senza la forza che solo un chiaro mandato di base avrebbe messo a sua disposizione.
Mi auguro che almeno nel voto popolare che ci attende il 3 marzo i candidati in gara lo declinino col massimo di forza e di chiarezza.
D – Carlo Calenda ha messo sul tavolo il manifesto ‘Siamo europei’. Crede che sia una proposta utile?
R – Un manifesto diventa un progetto politico nella misura in cui incontra un consenso di massa. È appunto quello che vedo accadere attorno a quello promosso da Calenda che ritengo indirizzato nella direzione giusta.
D – In una eventuale lista unica il simbolo Pd deve esserci o no?
R – Mi sembra evidente che, in presenza di significativi affluenti politici non direttamente riconducibili al Pd, il suo simbolo non possa coincidere con quello del Partito. Resta tuttavia che essendo in una fase congressuale la decisione di ammainare la bandiera del partito sia affidata inevitabilmente al Congresso. Ecco perché auspico che almeno in vista del voto popolare che ci attende all’inizio di marzo ognuno dei tre candidati a confronto dichiari la sua scelta al riguardo con parole chiare e forti.
D – Quale deve essere il messaggio dei progressisti per non lasciare l’Europa ai sovranisti e ai populisti?
R – Non un messaggio che metta ancora di più al centro della scena gli avversari. Come fosse una chiamata alle armi contro i nuovi barbari. Un messaggio positivo che spieghi che come Italia e come italiani non abbiamo altra strada dell’Europa per cercare il nostro futuro in un mondo che ogni giorno si fa più grande e più vicino. Un messaggio che parli agli altri non meno che ai nostri.